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INQUINAMENTO DIGITALE: un problema più grande di noi

Siamo veramente consapevoli di come i dispositivi digitali che utilizziamo nella nostra quotidianità  influenzino l’ambiente circostante in cui viviamo?

Anche se non ce ne rendiamo conto, purtroppo i nostri dispositivi sono negativi per l’ambiente sin dalla costruzione, non solo durante l’uso o nello smaltimento. Infatti, durante questi processi, viene emessa anidride carbonica in quantità molto rilevante, causando effetti sull’ambiente che conosciamo tutti l’ambiente. Ecco alcuni dati reali che possono aiutarci a definire il perimetro delle conseguenze.

Innanzitutto l’industria del digitale è responsabile del 4% delle emissioni di CO2 mondiali e questo dato è destinato a raddoppiare entro il 2025, tanto che le stime parlano di un 20% del totale delle emissioni di CO2 mondiali. Oltre a questo, secondo Olivier Vergeynst, Direttore dell’Istituto belga per l’informatica sostenibile (ISIT), visitare un sito Web emette gas serra. 

Insomma, se si va su un sito di media, semplicemente facendo clic sulla prima pagina si consuma “ambiente” quanto l’inquinamento provocato dalla percorrenza di 20-30 metri compiuti in auto. Per essere più concreti: chi sta leggendo questo articolo, semplicemente aprendo il sito del “Pelapatate”, ha emesso gas serra.

Può sembrare poco, ma  se si pensa a questi numeri moltiplicati per il numero di persone che possono visitare un sito, si arriva al limite critico di emissione di anidride carbonica.

Ma ripercorriamo il “viaggio nella vita” dei nostri DEVICE, dall’inizio alla fine:

-PRIMA FASE: realizzazione. Per crearli sono necessari determinati materiali, le cosiddette “terre rare”, che richiedono attività di estrazione con macchine che provocano elevatissime emissioni di gas che alterano il clima. Per non parlare dei problemi sociali dati dallo sfruttamento delle risorse dei paesi più poveri. Tra di essi, la più grande minaccia sono i nostri smartphone che consumano  tantissima energia perché devono essere continuamente ricaricati. Inoltre hanno vita breve e solo pochissimi vengono riciclati (si parla dell’1%).

-SECONDA FASE: l’uso. Iniziamo con un dato agghiacciante sull’ uso di Internet: se fosse un paese, sarebbe il sesto consumatore di energia a livello mondiale.

Anche in una semplice mail, il suo invio comporta l’emissione di una dose di circa 19 grammi di CO2, quantità che è la somma del consumo energetico del computer di invio e di quello dei server che instradano la posta elettronica nel traffico virtuale. La situazione non cambia più di tanto per gli altri strumenti di comunicazione istantanea: un singolo tweet causa 0,2 grammi di emissioni serra, mentre i messaggi inviati via WhatsApp o Messenger hanno un impatto appena superiore a quello delle mail. A inquinare di più, poi, sono video e immagini inviati dal web: foto, selfie ed emoji produrrebbero 50 grammi di CO2, mentre i filmati arrivano a generare 300 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno.  Prendiamo un esempio attuale: attraverso una videoconferenza vengono trasmessi molti dati, con un gravoso impatto ambientale. Per ridurne gli effetti basterebbe spegnere le telecamere e si arriverebbe a trasmettere appena il 7% della quantità di dati che vengono trasmessi e l’impatto del carbonio sarebbe solo del 38% .

Paradossalmente, sono proprio il sito web del Ministero dell’ambiente e quello del WWF a causare delle emissioni di Co2: insieme producono oltre 3,6 tonnellate di anidride carbonica all’anno .

-TERZA FASE: lo smaltimento. Lo smaltimento dei rifiuti digitali è un problema che grava sulla nostra salute e viene definito con l’acronimo RAEE.(Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche). Purtroppo, eseguire tale processo in modo corretto è molto complicato e costoso . Nel caso dei materiali RAEE non pericolosi, il costo si aggira intorno ai € 0.30 per Kg, mentre per rifiuti RAEE pericolosi il costo può  arrivare a € 1 per Kg. Sono stati notiziati casi in cui chi aveva il compito di smaltire, invece di procedere legalmente, ha optato per pratiche di gestione illegale per propri vantaggi economici (in Italia sono 150 le inchieste in corso ). Infatti, spesso questi device dismessi vengono esportati in paesi sottosviluppati, dove sono presenti leggi meno rigorose sulla tutela dell’ambiente e sulla protezione del lavoro, aggravando ancora di più le condizioni ambientali del paese.

Questo bisogno di smaltire completamente i nostri dispositivi è dato anche da quel comportamento che nel gergo tecnico è definito “obsolescenza percepita”, ovvero quel fenomeno che rende automaticamente obsoleto, appena uscito in commercio, quello che si possiede già, anche se le prestazioni che offre non sono poi tanto migliori. E’ la voglia di “cambiare”, di essere al passo con i tempi e di seguire le mode a rendere ormai “vecchio” lo smartphone.

Purtroppo il fenomeno dell’inquinamento digitale non è così nota come dovrebbe esserlo: per questo è necessario sensibilizzare al problema. Già facendo così si contribuisce a risolvere parzialmente il problema, senza voltarsi dall’altra parte.

“Quando le generazioni future giudicheranno coloro che sono venuti prima di loro sulle questioni ambientali, potranno arrivare alla conclusione che questi ‘non sapevano’: accertiamoci di non passare alla storia come la generazione che sapeva, ma non si è preoccupata

Mikhail Sergeevich Gorbachev

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