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Inquinamento della porta accanto: il caso Tricom Galvanica. Una storia di veleni e giustizia rimasta sulla carta.

Più di cinquant’anni fa, nel 1971, veniva concessa alla “Junior costruzioni meccaniche” un’area destinata alla costruzione di un edificio industriale che negli anni a venire si sarebbe guadagnato il nome di “Fabbrica di veleni” perchè ha cagionato uno dei più grandi casi di inquinamento industriale del veneto.

Nel 1973 la ditta viene autorizzata a costruire un impianto galvanico, a condizione che:
• il contenuto del cromo esavalente di eventuali scarichi liquidi dell’impianto galvanico dovrà risultare inferiore a 0,50 mg/l;
• se l’impianto di depurazione si dimostrasse inadeguato, la Società si impegna a sospendere immediatamente le lavorazioni dello stabilimento galvanico.

Purtroppo queste condizioni non saranno mai mantenute; infatti già nel 1975 saranno rilevati 7200 μg/l di cromo totale e 3700 μg/l di nickel nello scarico dell’ allora Tricom spa.

Nel 1977 un dipendente dell’azienda, Rocco Battistella (sindaco di Tezze sul Brenta, comune in cui è situata la Tricom) riceve una comunicazione giudiziaria per omissione d’atti d’ufficio mentre il gruppo Tricom di Adriano Sgarbossa ed altre due ditte, ricevono una comunicazione per avvelenamento di acqua e scarico di rifiuti industriali in acque pubbliche, senza autorizzazioni e danneggiamento aggravato.

In seguito la Provincia di Vicenza revocherà l’autorizzazione di scaricare liquami industriali, ma il sindaco Battistella emanerà due autorizzazioni trimestrali provvisorie per continuare lo scarico in deroga alla revoca della Provincia.

Un anno dopo la scadenza di queste, il comando carabinieri dei NAS di Padova emetterà dei provvedimenti verso la Tricom per:
• non aver indicato il luogo di destinazione dei fanghi scaturiti dalla depurazione dei reflui industriali;
• aver continuato a scaricare i fanghi;
• aver continuato ad aumentare l’inquinamento a seguito del continuo peggioramento qualitativo dei reflui industriali senza adottare tutte le misure necessarie ad evitare tali inconvenienti;
• aver omesso di far sottoporre i dipendenti alle visite mediche trimestrali a prevenzione delle malattie professionali;

Saranno inoltre eseguite una serie di misurazioni ambientali nel reparto cromatura e di accertamenti sanitari riguardanti 20 lavoratori. Tra questi solo 3 presenteranno un referto negativo, mentre le diagnosi dei rimanenti varieranno tra “reperto infiammatorio” e “displasia”(stadio precedente il tumore).

Nel 1982 verranno rinviati a giudizio i dirigenti del gruppo Tricom (Forlin Pietro, Scalco Roberto e Giovanni, Sgarbossa Adriano) con l’accusa di scarico senza autorizzazione di liquidi con residui chimici e per l’omissione di efficaci impianti depuratori per le proprie ditte. Rocco Battistella verrà, invece, rinviato in giudizio, insieme al Medico Provinciale di Vicenza Pietro Bonifici e all’ufficiale sanitario Adelchi Broglio, con l’accusa di omissione d’atti d’ufficio.

Negli anni successivi, vengono rilevate numerose mancanze nell’impianto Tricom, tali da mettere a rischio la salute dei dipendenti, oltre che inquinamenti da cromo esavalente nelle zone di Fontaniva e Tombolo, particolarmente nei pozzi, data la natura solubile di tale sostanza. Solo nel 2001 vengono emesse le prime denunce per l’avvelenamento della falda acquifera e, contemporaneamente, quelle dai familiari dei lavoratori morti di cancro ai polmoni.

La ditta “Galvanica PM” dichiara il proprio fallimento il 23 dicembre 2003, che viene accettato nonostante il procedimento penale in corso.

Nel 2006 dopo tre anni di sentenze viene condannato in via definitiva Paolo Zampierin, proprietario della ex Galvanica PM, in quanto colpevole del delitto di avvelenamento colposo. La pena è di 2 anni e 6 mesi di reclusione e il pagamento di tutti i danni cagionati per un totale di 2 milioni e 250 mila euro. Di fronte ai 158 milioni di euro in danni ambientali quantificati dal Ministero dell’Ambiente, Zampierin non pagherà niente: la ditta ha dichiarato fallimento e la pena di reclusione è abbonata grazie all’indulto.

Margherite deformi, tristemente note per la loro presenza in zone inquinate

Nel 2006 viene aperto un fascicolo dalla Procura di Bassano del Grappa sulle 14 morti sospette dei dipendenti dell’ex Tricom con ipotesi di reato gravissime: omicidio colposo plurimo, lesioni colpose gravi, omissioni di difese e cautele contro disastri e infortuni sul lavoro e violazione delle norme di sicurezza ed igiene negli ambienti di lavoro. Vengono iscritte quattro persone nel registro degli indagati: Rocco Battistella, Sgarbossa Adriano, Zampierin Paolo e Adriano.

Nei due anni successivi verranno presentate due richieste di archiviazione su una perizia del medico legale Dr. Clonfero di Padova perché “i dipendenti fumavano”, ignorando lo studio condotto dallo SPISAL di Padova negli anni ’80 che accertava come molti operai di quella fabbrica accusavano danni biologici importanti. In entrambi i casi la richiesta viene rigettata.

Il processo si chiuderà solo nel 2012 in Corte di Cassazione con la confermazione delle condanne stabilite in secondo grado per tutti eccetto il Ceschi, spirato una settimana dopo il termine della prescrizione. Nonostante le condanne nessuno dei responsabili verrà incarcerato né risarcirà i familiari dei lavoratori, tanto meno contribuirà alle operazione di bonifica: i pochi interventi attuati per arginare l’emergenza sono stati interamente finanziati dalle casse pubbliche.

La Tricom è ancora oggi una bomba ecologica dormiente a testimonianza degli effetti di un’industria sconsiderata e di interventi troppo lenti. Speriamo davvero che con il Recovery Plan vengano sbloccati i finanziamenti già messi a disposizione per la bonifica dell’area.

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