ATTUALITA' ECONOMIA

L’Unione Europea che erediteremo

a cura di Andrea Dalla Palma

«Sullo sfondo blu del cielo del Mondo occidentale, le stelle rappresentano i popoli dell’Europa in un cerchio, simbolo di unità… proprio come i dodici segni dello zodiaco rappresentano l’intero universo, le dodici stelle d’oro rappresentano tutti i popoli d’Europa – compresi quelli che non possono ancora partecipare alla costruzione dell’Europa nell’unità e nella pace»

Consiglio d’Europa sulla bandiera europea (1955)

Quando nel 1989 il Muro di Berlino cadde, fu formalmente dichiarata la fine della Guerra Fredda, il conflitto ideologico, politico-sociale ed economico che aveva visto contrapporsi il capitalismo liberale degli Stati Uniti e di tutto l’Occidente al socialismo esasperato dell’Unione Sovietica e dei paesi dell’Est.

L’Unione Sovietica che tanto era stata osteggiata da grandi personaggi del Novecento, fra cui il presidente U.S.A. Ronald Reagan, la Lady di ferro britannica Margaret Thatcher e il Papa cattolico Giovanni Paolo II, era crollata su se stessa, consegnando la vittoria all’Occidente capitalista.

La Germania, l’Europa e il mondo intero non erano più divisi in due parti dalla “cortina di ferro” e i tempi erano maturi per la costruzione di un nuovo ordine mondiale.

Tuttavia, l’idea di una moderna Europa unita era molto più antica e risaliva al secondo dopoguerra quando, in contrapposizione alla volontà di egemonia della ormai sconfitta Germania nazista, i principali leader europei di quel tempo – Alcide De Gasperi (Italia), Robert Schuman (Francia) e Kondrad Adenauer (Germania Ovest) – idearono le prime forme di libero commercio fra i paesi europei. Un’economia europea non era però il loro unico obiettivo, i tre miravano ad un’Europa politica e dei popoli che impedisse la rinascita di egoismi nazionalisti che avrebbero inesorabilmente portato ad un’altra guerra.

Così nel 1989, a decenni dalla morte dei tre grandi statisti, con la riunificazione tedesca ed europea, si procedette a gettare le basi della nuova Europa, tenendo conto di tutte le diversità e delle uguaglianze fra gli Stati e i popoli.

All’epoca, come recentemente, molti auspicavano alla creazione degli Stati Uniti d’Europa: in questo momento storico, più che mai è chiaro come le differenze troppo marcate fra i vari stati non possano consentire la nascita di un super-stato europeo, sulla falsariga di quello statunitense. Non solo le differenti lingue, culture, costumi, bensì anche la profonda e radicata differenza nella gestione dei propri affari: dalla politica estera, ove vi sono interessi storici e attuali troppo diversi, a quella economica, questa in particolare fra i paesi del Nord e del Sud dell’Unione Europea.

A tal proposito si è espresso recentemente anche il noto storico e giornalista Paolo Mieli, secondo il quale per far progredire l’attuale UE allo step successivo sarebbe necessario accettare: “soldati stranieri in casa nostra. […] Chi dice di voler fare l’Europa deve sapere che il comando non sarà in Italia, ma altrove, come il molisano che nel 1870 voleva l’Unità d’Italia e credeva nell’Italia, ognuno deve riflettere anche sulle conseguenze”. Le parole di Mieli si rifanno al fatto che, a causa della propria debolezza politico-economica rispetto ad altre realtà europee, l’Italia non potrà essere il centro del comando degli eventuali Stati Uniti d’Europa. Pertanto, chi aspira e spinge per questo progetto dovrà rassegnarsi al fatto che la capitale d’Europa sarà altrove, con tutte le conseguenze che ne deriveranno.

Ciò era stato rilevato già negli anni ‘50 dal grande giornalista italiano Leo Longanesi che profeticamente disse: “Noi italiani siamo il cuore d’Europa, ed il cuore non sarà mai né il braccio, né la testa: ecco la nostra grandezza e la nostra miseria”.

Attualmente l’Unione Europea è un’organizzazione internazionale, dove parte della sovranità degli Stati membri è stata trasferita alle istituzioni europee: fra cui il Parlamento europeo, organo legislativo dell’UE, nel quale i cittadini europei eleggono ogni cinque anni i propri rappresentanti.

Ma l’Unione Europea, per come è costituita ora, non funziona.

Questo è evidente non solo dalla gestione della crisi economica del 2008, la Brexit e la crisi greca, ma anche per le attuali divergenze fra i paesi in merito alla gestione della crisi del Coronavirus: sono contrapposti i Paesi del Nord Europa, guidati dalla Germania, che chiedono l’attivazione del MES (Meccanismo di Stabilità Europeo, ovvero un fondo di assistenza finanziaria) e i Paesi dell’Europa Meridionale, Italia in primis, che chiedono l’introduzione degli Eurobond, titoli di stato europei che consentano ai paesi più indebitati di spartire fra tutti i paesi UE il rischio di pagamento.

L’Unione Europea, quindi, se non potrà evolversi negli Stati Uniti d’Europa dovrà comunque riformare sé stessa, non solo per essere più vicina ai cittadini che, soprattutto in Italia, la percepiscono ancora come un entità astratta e lontana, ma anche per rendere pacifica la convivenza fra i suoi membri.

Date le differenze è naturalmente impossibile una serena ed eterna cooperazione fra gli Stati membri, tuttavia questa è necessaria, soprattutto perché, volenti o nolenti, l’Europa è un bene prezioso che sino ad ora ha consentito a Paesi come il nostro di trarre vantaggi dal libero commercio fra i Paesi europei. Inoltre le normative approvate in sede europea, hanno spesso costretto il nostro Paese ad aggiornarsi e ad aggiornare le proprie strutture fatto che, in assenza dell’Europa, avremmo tranquillamente ignorato.

L’Europa tuttavia non può essere solo un’architettura economico-commerciale, bensì deve essere un’Europa dei popoli, fedele al “sogno europeo” relativo alla volontà di una casa comune, proprio come voluto dai già citati padri fondatori. Tutto ciò non può che essere legato alla formazione di una classe dirigente capace, responsabile e lungimirante che guardi al futuro della propria Nazione e del mondo, rifacendosi ai principi di dignità, libertà, uguaglianza, pace, solidarietà e giustizia della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Una classe dirigente che agisca sulla falsariga di una frase attribuita al grande statista Alcide De Gasperi: “Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alle prossime generazioni”. Una classe dirigente di statisti.

Una casa comune europea, che sia luogo di mediazione e di conciliazione dei singoli interessi, non può lasciare i Paesi membri soli a gestire emergenze globali come i flussi migratori che nell’ultimo decennio hanno iniziato a confluire verso i paesi del Sud Europa, fra cui l’Italia e la Spagna. Ignorare problemi di questa dimensione porta a niente di meno che alla nascita di divisioni e della convinzione dei popoli europei che tutto sommato questa Europa non serva, come credono i cosiddetti “sovranisti”, quando invece sarebbe meglio chiedersi per quale motivo alcuni Paesi all’interno della UE riescano a funzionare e perché altri non riescano, imputando le giuste e naturali colpe alla propria classe dirigente nazionale.

Se le richieste di aiuto da parte dei Paesi più poveri dell’UE alle istituzioni europee saranno ignorate, se le emergenze globali come quelle legate all’immigrazione saranno demandate ai singoli Stati, quale futuro potrà esserci per questa Unione Europea se non un futuro di divisioni, costellato magari da qualche altro abbandono come nel caso della Brexit? Tutto ciò va impedito. L’Europa, con tutti i suoi difetti, ha consentito la pace dopo la Seconda Guerra Mondiale ed è un libero luogo di commercio fra i paesi membri, che fuori da essa, dovrebbero sostenere la competitività aggressiva delle economie emergenti (o forse “fin troppo emerse”) quali la Cina, l’India… 

Ma i problemi di questa “casa comune” d’Europa, non riguardano soltanto i propri Stati membri o i propri cittadini. Una vera Unione Europea deve saper guardare oltre i propri confini ed essere aperta alle vicende che accadono al di fuori di essa e che non possono essere ignorate. Bettino Craxi (1934-2000), primo ministro italiano socialista durante gli anni ‘80, poi passato alla storia per essere fra i protagonisti della classe dirigente italiana caduta a causa del processo di Tangentopoli (anni ‘90), sostenne: “Il modello di sviluppo europeo è irrinunciabile per quei valori di solidarietà sociale ed umana che esso esprime e tutela.  […] Un’Europa più unita deve saper resistere alla tentazione di guardare solo al suo tornaconto. Deve allargare le sue frontiere di azione, deve saper tenere fede ai principi di solidarietà sanciti nei trattati. Dobbiamo saper rispondere alle aspettative di chi ci guarda, non solo ai cittadini europei portatori di sempre nuovi desideri, ma anche a quei popoli che difendono il più elementare dei diritti: il diritto alla vita”. Sulla falsariga di quanto enunciato da Craxi, che nel bene e nel male è stato uno dei leader del nostro Paese, possiamo dire che l’Europa non può limitarsi all’esclusiva tutela dei consumatori o dei grandi investitori europei o stranieri, bensì deve saper guardare anche oltre il Mediterraneo, dove anche a causa del consumismo occidentale sfrenato, moltissimi popoli ancora oggi soffrono la fame.

Questo problema, fra gli altri, fu segnalato già decenni fa da Papa Giovanni Paolo I (1912-1978), nato Albino Luciani, che nei suoi trentatré giorni di pontificato, basandosi anche su quanto enunciato nelle encicliche del suo predecessore Paolo VI, disse: “Oggi non si tratta più di questo o di quell’individuo, sono popoli che hanno fame. […] Nessuno ha la prerogativa di potere usare esclusivamente i beni in suo vantaggio oltre il bisogno, quando ci sono quelli che muoiono per non avere niente”.

Noi appartenenti alla cosiddetta Generazione Z, ovvero nati fra il 1997 e il 2012, prima o poi dovremmo ereditare, fra le altre cose, anche questa Unione Europea. Ma quale Unione Europea erediteremo? Negli ultimi anni anche i cambiamenti geo-politici sono avvenuti così rapidamente che nel giro di qualche decennio ciò che viene dato per scontato potrebbe sparire. Molto quindi dipenderà non solo dalla nostra attuale classe dirigente, ma anche da noi cittadini e futuri cittadini, che scegliamo chi ci deve rappresentare. Riempirci la bocca di critiche servirà a poco, lavorare sodo invece sarà la strada più naturale e giusta da perseguire.

In un mondo globalizzato infatti, le singole Nazioni non possono più ricoprire il ruolo che ricoprivano trent’anni fa. Quel tempo è passato. L’Europa è quindi l’approdo naturale della nostra società, ma dovrà essere un’Europa giusta e di tutti, non l’Europa di pochi. Dovrà essere un’Europa che non porti a rinunciare alle differenze fra i suoi cittadini, che dovranno continuare o iniziare ad essere dei buoni patrioti, non dei nazionalisti. 

Essere quindi “Uniti nella diversità”, come recita il motto dell’UE, ma non solo su carta.

D’altronde, come disse Gianni Agnelli: “Per essere italiani nel mondo, dobbiamo essere europei in Italia”, quindi nonostante il momento di difficoltà guardiamo al domani con ottimismo, guardiamo ad un’Europa e ad un mondo migliori.

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1 commento

  1. S. M. Z. dice:

    Sono una mamma di una alunna di terza Einaudi. Mi è piaciuto molto questo articolo, scritto dalla generazione Z, che ha percepito l’importanza di difendere i principi “Veri e Fondanti” dell”Europa vera dei popoli, cosi’ come concepita dai padri fondatori. Ragazzi, l’Europa intesa come e’ adesso, primariamente una unione finanziaria ed economica, ai popoli non serve molto, anzi….fa aumentare la poverta’ perche’ è talmente lontana dalla vita reale, da non accorgersi della loro sofferenza . Combattete per un’Europa Vera, e se cio’ risultasse un’utopia, combattete per la Vostra Bellissima Italia ! Ne ha bisogno! Complimenti a tutti!

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