LIBRI RECENSIONI

L’arte di essere fragili

Trama:

Leopardi è spesso frettolosamente liquidato come pessimista e sfortunato.
Fu invece un giovane uomo affamato di vita e d’infinito, capace di restare fedele alla propria vocazione poetica e di lottare per affermarla, nonostante l’indifferenza e perfino la derisione dei contemporanei. Nella sua vita e nei suoi versi, D’Avenia trova folgorazioni e provocazioni, nostalgia ed energia vitale. E ne trae lo spunto per rispondere ai tanti e cruciali interrogativi che da molti anni si sente rivolgere da ragazzi di ogni parte d’Italia, tutti alla ricerca di se stessi e di un senso profondo del vivere. Domande che sono poi le stesse dei personaggi leopardiani: Saffo e il pastore errante, Nerina e Silvia, Cristoforo Colombo e l’Islandese… Domande che non hanno risposte semplici, ma che, come una bussola, se non le tacitiamo possono orientare la nostra esistenza, in tutte le sue tappe dall’adolescenza alla maturità.

La sfida è lanciata, e ci riguarda tutti: Leopardi ha trovato nella poesia la sua ragione di vita, e noi? Qual è la passione in grado di farci sentire vivi in ogni fase della nostra esistenza? Quale bellezza vogliamo manifestare nel mondo, per poter dire alla fine: nulla è andato sprecato?

In queste pagine Alessandro D’Avenia racconta il suo metodo per la felicità e l’incontro decisivo che glielo ha rivelato: quello con Giacomo Leopardi.

L’autore parte da un punto parecchio difficile, il “momento di rapimento”. O meglio, un’improvvisa manifestazione della parte più autentica di noi, di quello che sappiamo essere a prescindere da tutto; quel momento in cui il richiamo del mondo reale ci rapisce e ci riporta dentro noi stessi.

D’Avenia scrive, a proposito:

“Solo la fedeltà al proprio rapimento rende la vita un’appassionante esplorazione delle possibilità e le trasforma in nutrimento, anche quando la realtà sembra sbarrarci la strada”.

Per poi continuare:

“Raccontami, Giacomo, come hai fatti tu a essere fedele per tutta la vita a quel primo rapimento, quando nel corso degli anni ti sembrò impossibile farne realtà”.

Io sono entrata sin da subito in sintonia con questa fase iniziale, perché ho cercato quale sia stato, o quali siano stati i miei momenti di rapimento. Forse da piccola il mio margine era molto più ampio, ma ora capisco molto presto quando un sogno rimarrà tale. In ogni caso, ritengo che nel modo così assoluto in cui è cambiata la società in cui viviamo, sia possibile avere momenti di rapimento successivi agli anni della formazione. D’Avenia scrive, a questo proposito, che:

“Ognuno nella vita ha almeno un minuto di nitida chiarezza”

Ho trovato il romanzo molto coinvolgente principalmente per due motivi:

  • getta nuova luce sul poeta di Recanati, fornendone un’analisi molto più approfondita di quella che si può avere sui banchi di scuola;
  • parla di noi ragazzi di oggi con cognizione di causa. È come se egli stesse davvero in mezzo a noi, ci conoscesse, e non ci giudicasse facendo l’osservatore lontano. Anzi, pare che condivida con noi gioie, amori, ma anche sofferenza e inadeguatezza. Sempre con la voglia di riuscire ad animare in noi quella fiammella di passione che anima lui per primo:

A volte vorrei non amare così tanto la bellezza e potermi accontentare di molto meno, ma so che non sarei più io. Non sopporterei una vita senza passione per la vita.

Quella che potrebbe essere una conclusione, D’Avenia ce la scrive nella prima pagina:

“Mi sembra che stiamo dimenticando l’arte di essere felici. Troppo concentrati sui risultati anziché sulle persone, trascuriamo di prenderci cura di noi stessi come esseri viventi, cioè chiamati a essere di giorno in giorno più vivi, capaci di un destino inedito, e ci accontentiamo di attraversare stancamente la ripetizione di giorni senza gioia”.

E poi ancora, una frase che mi ha colpita moltissimo:

“La vita non è mai povera, povero è il nostro sguardo”.

È una delle poche cose che credo siano assolutamente vere. Così come è vero che abbiamo perso la capacità di andare in profondità in tutto questo ‘oceano di informazioni’, come è vero che non sappiamo fare buon uso degli strumenti che abbiamo e che finiscono per possederci, come è anche vero che abbiamo smesso di essere pazienti, sappiamo solo volere tutto e subito, in una continua smania di successo.

In sintesi, non facciamo che cercare fuori, quello che non abbiamo il coraggio di trovare dentro.

Perché è tutto compreso qui, nella conoscenza di noi stessi, e come ci suggerisce l’autore, nell’accettazione di essere “fragili”.

Le cose fragili bramano essere ciò che ancora non sono, lottano per compiersi e cercano ciò che le possa far fiorire nella loro piena bellezza.

L’autore ci lascia infine un consiglio sotto forma di citazione:

“Solo l’amore ci consente di affrontare lo scandalo della fragilità del nostro essere, un amore che non dovrebbe venire mai meno nonostante le nostre insufficienze, capace di farci accettare e far fiorire il nostro destino”

Credo che in ognuno di noi il lavoro per essere ciò che siamo veramente sia lungo e difficile, molto spesso in salita e talvolta così doloroso da farci desistere. Ma la determinazione deve essere più forte di tutte le difficoltà.

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